Ottobre 1983 Intervista con Milan Kundera
di Christian Salmon
Questa intervista ? il frutto di vari incontri
con Milan Kundera a Parigi nellOautunno
del 1983. Incontri che hanno avuto
luogo nel suo attico vicino Montparnasse.
Abbiamo lavorato nella piccola stanza che
Kundera usa come ufficio. Con gli scaffali
pieni di libri di filosofia e di musicologia, la
sua vecchia macchina da scrivere e la scrivania,
sembra pi? la stanza di uno studente
che lo studio di uno scrittore famoso in tutto
il mondo. Su una delle pareti ci sono, una
accanto allOaltra, due fotografie: una del
padre, un pianista, e lOaltra di Leos
Jan?o?Ncek, un compositore ceco che
ammira moltissimo. Abbiamo conversato, spontaneamente e a lungo in francese;
invece di un registratore, abbiamo usato la
macchina da scrivere, un paio di forbici e la
colla. Piano piano, tra pezzi di carta scartati
e dopo svariate revisioni, ? emerso questo
testo.
LOintervista si ? svolta poco dopo che
LOinsostenibile leggerezza dellOessere ?
diventato un best-seller immediato. La
fama improvvisa lo mette a disagio; Kundera
sarebbe sicuramente dOaccordo con
Malcolm Lowry che Cil successo ? come un
terribile disastro, peggio che se la propria
casa andasse a fuoco. La fama consuma la
casa dellOanimaE`. Quando gli ho chiesto
informazioni sui commenti che stavano
comparendo sulla stampa mi ha risposto:
O`Ho avuto unOoverdose di me stesso!O?L.
Il desiderio di Kundera di non parlare di
s? sembra una reazione istintiva alla tendenza
della maggior parte dei critici a studiare
lo scrittore, la sua personalit?O, le sue
tendenze politiche e la sua vita privata piuttosto
che le sue opere. CIl disgusto nel dover
«parlare di se stessi ? ci? che distingue i
romanzieri dai poeti», ha scritto Milan
Kundera su CLe Nouvel ObservateurE`.
Rifiutarsi di parlare di se stesso ? quindi
un modo di mettere il proprio lavoro e il
proprio stile al centro dellOattenzione, di
concentrarsi sul romanzo in s?. e?L questo lo
scopo della nostra conversazione sullOarte
della scrittura.
Ha detto che si sente pi? vicino ai
romanzieri viennesi Robert Musil e Hermann
Broch che a qualsiasi altro autore
di letteratura moderna. Broch sosteneva
come lei che lOepoca del romanzo psicologico
? finita. Credeva, invece, in ci?
che chiamava il romanzo O`polistoricoO?L.
Musil e Broch hanno caricato il romanzo
di grandi responsabilit?O. Lo vedevano come
la suprema sintesi intellettuale, lOultima
postazione da cui lOuomo poteva mettere in
questione il mondo intero. Erano convinti
che il romanzo avesse enormi propriet?O sintetiche,
che potesse essere un insieme di poesia, fantasia, filosofia, aforisma e saggio.
Nelle sue lettere Broch fa delle profonde
osservazioni su questo tema. Nonostante
ci?, mi sembra che oscuri le sue intenzioni
usando il termine O`romanzo polistoricoO?L,
che secondo me non ? appropriato. Fu infatti
un compatriota di Broch, Adalbert Stifter,
uno scrittore austriaco classico, a creare il
vero romanzo polistorico con il suo Der
Nachsommer (LOestate di san Martino),
pubblicato nel 1857. e?L un romanzo famoso:
Nietzsche lo considerava uno dei quattro
capolavori della letteratura tedesca. Oggi ?
illeggibile. e?L imbottito di informazioni geologiche,
botaniche, zoologiche, artistiche,
pittoriche e architettoniche; ma questOenorme
enciclopedia trascura quasi completamente
lOuomo stesso e la sua situazione.
Proprio perch? ? polistorica, a Der Nachsommer
manca proprio ci? che rende speciale
un romanzo. Nel caso di Broch non ?
cos?g. Al contrario! Si ? sforzato di scoprire
Cci? che solo il romanzo pu? scoprireE`.
LOoggetto specifico di ci? che Broch amava
chiamare O`la conoscenza romanzescaO?L ? lOesistenza.
Secondo me il termine O`polistoricoO?L
devOessere definito come ci? che unisce
ogni strumento e ogni forma di conoscenza
in modo da illuminare lOesistenza. S?g,
mi sento molto vicino a questo approccio.
Un lungo saggio che lei ha pubblicato
sulla rivista CLe Nouvelle ObservateurE`
ha fatto s?g che i francesi riscoprissero
Broch. Parla molto bene di lui, ma ?
anche estremamente critico. Alla fine del
saggio scrive: CTutte le grandi opere
(proprio perch? sono grandi) sono in
parte incompleteE`.
Broch ? unOispirazione non solo per
quello che ha raggiunto, ma anche per tutto
quello a cui aspirava e che non ha potuto
ottenere. LOincompletezza stessa della sua
opera ci aiuta a capire la necessit?O di nuove
modalit?O artistiche, fra cui: 1) lOeliminazione
radicale dellOinessenziale, per catturare
la complessit?O dellOesistenza nel mondo
moderno senza perdere di vista la chiarezza
architettonica; 2) il O`contrappunto romanzescoO?L
(per unire filosofia, narrativa e sogno
in unOunica melodia); 3) il saggio specificatamente
romanzesco (in altre parole, invece
di cercare di trasmettere messaggi apodittici,
rimanere ipotetici, giocosi e ironici).
Questi tre punti sembrano contenere il
suo intero programma artistico.
Per trasformare un romanzo in unOilluminazione
polistorica dellOesistenza bisogna
saper usare bene la tecnica dellOellissi,
lOarte della condensazione. Altrimenti si
rischia di cadere nella trappola della lunghezza
infinita. LOuomo senza qualit?O di
Musil ? uno dei due o tre romanzi che preferisco.
Ma non chiedetemi di ammirare la
sua espansione gigantesca e incompleta!
Immaginate un castello talmente grande da
non poter essere contenuto in uno sguardo.
Immaginate un quartetto dOarchi che suona
per nove ore. Ci sono dei limiti antropologici
le proporzioni umane che non
dovrebbero essere oltrepassati, per esem-
pio i limiti della memoria. Quando si finisce
di leggere un libro, bisognerebbe essere
in grado di ricordarne lOinizio. Se non ? cos?g,
il romanzo perde la sua forma, la sua
O`chiarezza architettonicaO?L diventa oscura.
Il libro del riso e dellOoblio ? composto
di sette parti. Se lei le avesse affrontate in
maniera meno ellittica avrebbe scritto
sette romanzi distinti.
Ma se avessi scritto sette romanzi avrei
perso la cosa pi? importante: non sarei stato
capace di catturare la O`complessit?O dellOesistenza
umana nel mondo modernoO?L in un
solo libro. LOarte dellOellissi ? assolutamente
essenziale. Richiede che si vada direttamente
al nocciolo delle cose.
Quando parlo di questo
penso sempre a un compositore ceco che
ammiro moltissimo sin dallOinfanzia: Leos
Jan?o?Ncek. e?L uno dei grandi maestri della
musica moderna. La sua determinazione nel
ridurre la musica allOessenziale fu rivoluzionaria.
Ovviamente ogni composizione comprende
varie tecniche: lOesposizione dei
temi, il loro sviluppo, le loro variazioni, il
lavoro polifonico (spesso molto automatico),
lOorchestrazione, le modulazioni, e cos?g via.
Al giorno dOoggi si pu? comporre musica con
il computer, ma il computer ? sempre esistito
nelle menti dei compositori: potevano comporre
una sonata senza nessuna idea originale,
solo attraverso lOespansione O`ciberneticaO?L
delle regole della composizione. Lo
scopo di Jan?o?Ncek fu proprio distruggere
quel computer! La brutale giustapposizione
invece delle modulazioni; le ripetizioni
invece delle variazioni e sempre dritto al
nocciolo delle cose: solo la nota che dice
qualcosa di essenziale ha il diritto di esistere.
Lo stesso vale per il romanzo: anchOesso
comprende varie O`tecnicheO?L, le regole che
scrivono lOopera al posto dellOautore: presentare
un personaggio, descrivere un luogo,
inserire lOazione in un contesto storico, riempire
di eventi inutili le vite dei personaggi.
Ogni cambio di scena richiede nuove esposizioni,
descrizioni, spiegazioni. Il mio obiettivo
? analogo a quello di Jan?o?Ncek: liberare il romanzo dagli automatismi delle tecniche
di scrittura, dei giri di parole romanzeschi.
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