La vicenda riguarda il sito "antoniodipietro.org". E tre testimonianze. False.
Nel marzo del 2000, quando non conoscevo di persona Di Pietro, registrai il dominio "antoniodipietro.org", con l'idea di organizzare un portale che si occupasse del fenomeno della corruzione.
Alcuni mesi dopo Di Pietro, che avevo conosciuto tramite un amico comune, mi chiese di progettare e realizzare il sito dell' "Italia dei Valori", movimento non ancora divenuto partito. Fu utilizzato il dominio "antoniodipietro.org", di cui non rinunciai ai diritti di registrazione. Nel dicembre del 2000 intestai, però, ad Antonio Di Pietro un dominio equivalente e parallelo: "antoniodipietro.it", utilizzato ancora oggi come sito ufficiale dell'IDV.
Un movimento, due anime
Tra il 2001 e il 2002, all'interno del movimento vi erano due anime. Coloro che accettavano una struttura gerarchica, orwellizzata, e coloro che aspiravano a un partito dialettico, che si occupasse anche di idee ed elaborasse nuove forme della politica.
Ritenevo Di Pietro insostituibile, per quello che rappresentava. Ma pensavo che fosse necessario un confronto collegiale di idee.
Tutti coloro che hanno fatto parte del movimento in quegli anni sanno dei miei scontri con Silvana Mura, la cui arroganza politica ho sempre criticato apertamente. Anche con Di Pietro.
Il 26 luglio 2002 il governo Berlusconi, con un decreto legge, estese il rimborso elettorale a tutti i partiti che avevano ottenuto almeno un deputato o un senatore nelle politiche del 2001. Per L'IDV si trattava di alcuni milioni di Euro.
Negli stessi giorni una e-mail di Silvana Mura, a cui ne seguì una di Di Pietro, mi informò che non ero più il responsabile internet del movimento. Pertanto, tramite fax alla segreteria dell'IDV, comunicai le password del sito "antoniodipietro.org", che dal 31 di luglio venne gestito da Anna Zeoli.
Nei mesi successivi lo scontro politico interno all'IDV, tra fautori della gestione totalitaria e quelli per una gestione più democratica, continuò.
In Toscana e a Firenze (ma anche in altre regioni) le assemblee elessero a maggioranza coordinatori sgraditi alla tesoriera dell'IDV. Si aprì uno scontro e Di Pietro intervenne in maniera autoritaria a favore del gruppo di Silvana Mura.
Poi mi chiese di
intestargli il dominio "antoniodipietro.org".
Io ero favorevole a cedere il dominio. Ma non a lui come persona fisica, bensì a una associazione che si occupasse di corruzione oppure al partito. Non ci trovammo d'accordo e nel febbraio del 2003 ripresi la disponibilità del sito. D'altra parte tutti i contenuti di "antoniodipietro.org" erano già stati copiati e trasferiti sul sito "antoniodipietro.it", attivato più di due anni prima. Era inoltre operativo dal mese di luglio 2002 il sito "italiadeivalori.it".
La sentenza
Il 3 dicembre 2010 sono stato condannato da giudice Ermellini, del Tribunale di Pontremoli, alla consegna del dominio e al pagamento di 500.000 Euro a favore di Di Pietro.
Il risarcimento è stato assegnato personalmente a
Di Pietro, che non credo abbia subito particolari danni patrimoniali dal luglio 2002 in poi.
Ad oggi il dominio è ancora il mio ed ancora ne dispongo. Semplicemente perchè si tratta di un ".org" registrato negli Stati Uniti, dove la sentenza del giudice di Pontremoli non ha effetto.
Secondo Kafka il tribunale non è l'istituzione che ha la missione di punire chi ha trasgredito le leggi. Per Kafka il tribunale è la forza che giudica. E giudica solo in quanto forza. Solo da lì trae la propria legittimità.
K., il protagonista de "Il Processo", ravvisa questa forza e vi si sottomette.
Nel corso della causa, ho indicato una decina di testi. Ammetto la mia colpa: l'intenzione, oltre che difendermi, era quella di far uscire allo scoperto l'esistenza di anime diverse all'interno dell'Italia dei Valori e dimostrare che quasi tutti coloro che parlavano di democrazia interna, di riforma dei partiti, venivano sacrificati, allontanati.
Ma dei miei testimoni, per vari motivi, nessuno è stato ammesso. Chi mi difendeva sembrava intimorito, molti amici mi dicevano: "Ma che fai, ti metti contro Di Pietro. Lascia perdere!"
Secondo Kafka il processo del "Tribunale" è assoluto, cioè non riguarda il reato ma la personalità di chi è sotto accusa. Per tutti io ero processato da Di Pietro. Ho avuto l'impressione, naturalmente letteraria, che questo peso schiacciasse ogni cosa: i miei avvocati, il piccolo Tribunale di Pontremoli a rischio chiusura (che per salvarsi si è rivolto a Felice Belisario, presidente dei senatori IDV ed avvocato di Di Pietro), i cancellieri, i giudici, i miei amici, i miei nemici e naturalmente anche me. Decisi di mollare.
Però sia chiaro: io ritengo che gran parte della magistratura italiana operi e giudichi in maniera autonoma ed indipendente. Ritengo anche che Di Pietro non sia mai intervenuto per influire su questo processo.
Il problema è svincolarsi dal complesso di Kafka.
La querela per falsa testimonianza
Poche settimane dopo l'interpellanza di Belisario al ministro Alfano in difesa del
Tribunale di Pontremoli, uscì la sentenza. Che si è appoggiata su tre testimonianze richieste da Di Pietro: quelle di Silvana Mura, di Miriam Asioli e di Samuela Filosi.
Il risarcimento dei danni, liquidati in 500.000 Euro, si basa su queste tre testimonianze. Che sono false.
Il paradosso sta nel fatto che per dimostrarlo non occorrono indagini complicate.
Le prove stanno semplicemente scritte nei verbali della causa.
Lo dimostrano i documenti allegati alla denuncia querela da me presentata alla polizia di Massa, che pubblico su questo blog all'url
http://www.bardireport.com/dipietro/antoniodipietro_sito/querela-silvana-mura/documenti/querela-silvana-mura-index.htm
Buona lettura.
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